Audizione del ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti alle commissioni riunite Esteri e Ambiente di Camera e Senato

“RECENTE ACCORDO TRA USA E CINA SU CAMBIAMENTO CLIMATICO E SULLE PROSPETTIVE INTERNAZIONALI DI PROTEZIONE DELL’AMBIENTE”
Egregi Presidenti di Commissione, Egregi parlamentari,
Sono lieto di essere stato chiamato oggi, di fronte a ben quattro autorevoli Commissioni, a riferire su un argomento di attualità, sicuramente sottovalutato dal punto di vista mediatico, ma che riveste una straordinaria importanza che voglio ribadire con estrema forza.

E’ bene chiarirsi sulla portata del nostro argomento di discussione, su cosa voglia dire parlare di “cambiamento climatico” e farlo ora, in questo momento storico. 

Oggi gli effetti dei cambiamenti climatici non sono le visioni catastrofiche di qualche scienziato visionario. Sappiamo con certezza, ce lo dice la scienza, quali saranno gli effetti dei cambiamenti climatici: gli eventi meteorologici estremi, le inondazioni, le migrazioni di massa, le guerre scatenate per l’accesso alle risorse vitali.

E allora ogni accordo, ogni intesa, ogni decisione che prendiamo in questo campo non va visto come un intervento singolo, ma come una tappa verso l’obiettivo più importante che ci sia: la sopravvivenza dell’uomo sul pianeta.

Ho visto in questi mesi molte letture di comodo su questo tema, come se il problema non esistesse o comunque non riguardasse noi, ma forse, nel caso più sciagurato, i nipoti dei nostri nipoti.

Purtroppo però qui non siamo nel campo della fantascienza: questa è una realtà che riguarda tutti noi adesso, non domani. E che riguarda i nostri figli, non solo le prossime generazioni.

Trovo molto adatto per chiudere questa mia riflessione il messaggio lanciato alla Conferenza Onu di New York il 23 settembre scorso, fortemente voluta dal segretario Ban Ki Moon per scuotere le coscienze su questo tema: “Non abbiamo un piano B, perché non esiste un Pianeta B”.

Vengo allora all’argomento su cui sono stato chiamato a riferire.

L’accordo sul clima del 12 novembre scorso fra Stati Uniti e Cina è un passaggio di portata storica, che a mio parere va apprezzato nel metodo e nel merito.

E’ infatti un segnale politico molto incoraggiante da parte dei due paesi che sono i maggiori emettitori di gas serra al mondo: la loro intesa apre la porta alle speranze di raggiungere nel dicembre 2015 a Parigi un accordo globale equo, ambizioso e vincolante.

Questo risultato non sarebbe stato possibile senza il ruolo determinante dell’Europa, che proprio sotto la nostra Presidenza ha fissato obiettivi ambiziosi per il 2030: una riduzione del 40% delle emissioni di gas serra, il 27% di energie prodotte dalle rinnovabili e un incremento del 27% dell’efficienza energetica.

Credo quindi che sia forte e diretto il legame tra quell’intesa trovata nel nostro continente, di straordinario valore in vista dei prossimi appuntamenti negoziali, e un accordo assolutamente inedito tra due “grandi” della Terra.

Nel merito, viene fissato per gli Stati Uniti un obiettivo di riduzione delle emissioni del 26-28% al 2025, rispetto al 2005. Per la Cina c’è l’impegno a bloccare l’aumento, entro il 2030.

Ricordo che a Kyoto, nel 1997, gli USA avevano difeso un obiettivo di stabilizzazione delle emissioni, mentre la Cina era assolutamente contraria ad accettare qualsiasi vincolo. Dopo circa 20 anni, gli Stati Uniti si dichiarano disponibili ad un taglio di una certa consistenza, e la Cina - che negli ultimi 15 anni rappresenta  circa il 60% dell’aumento delle emissioni mondiali - propone nell’accordo una forma di stabilizzazione.

L’accordo di Cina e Stati Uniti in vista delle prossime conferenze Onu sul clima (a Lima fra pochi giorni e a Parigi a fine 2015) è quindi, lo ribadisco, un segnale positivo, che tuttavia va accompagnato con alcune considerazioni.

In primo luogo, i termini dell’accordo sono lontani dai target dell’Europa, che ha un obiettivo di riduzione dei gas a effetto serra del 40% rispetto al ’90, mentre l’intesa USA-CINA prende come riferimento il 2005, quando le emissioni erano molto più alte rispetto a 15 anni prima.

Gli Stati Uniti a Copenhagen si erano già impegnati a raggiungere una riduzione del 17% al 2020 rispetto ai livelli del 2005 e ora sono passati a -26/28% al 2025.

Con l’Accordo di novembre la Cina si è impegnata a raggiungere il picco emissivo nel 2030. Rimane poco chiaro se questo picco si applica alle emissioni assolute o alla quantità di carbonio emesso per unità di energia consumata.

Se, come da alcune parti viene fatto notare, l’impegno della Cina riguarderà le emissioni assolute, l’Accordo rappresenterà un importante cambio di paradigma della posizione cinese nella lotta ai cambiamenti climatici.

D’altra parte, in termini di riduzione globale della Co2, l’impegno degli USA   comunque rappresenta una grande passo avanti, proprio perché si parte da alti valori di emissione. 

In secondo luogo occorre tener conto che il Presidente degli USA dovrà portare al Congresso l’accordo con la Cina e ottenere l’approvazione. Il congresso storicamente, dalla presidenza Clinton (ai tempi del protocollo di Kyoto, firmato dal Presidente e non approvato dal Congresso), non è stato disponibile a ratificare intese vincolanti nel settore dell’energia.

Oggi, peraltro dopo l’esito delle ultime elezioni che ha consegnato la maggioranza di Congresso e Senato ai Repubblicani, la ratifica dell’intesa potrebbe essere ancora più problematica.

Un’ultima considerazione riguarda il mancato coinvolgimento dell’India, che allo stato attuale rappresenta  emissioni leggermente inferiori rispetto ai 28 paesi UE messi assieme, e, a differenza dell’Europa, ha un trend di crescita delle emissioni costante e rilevante.

Come detto, l’Europa ambisce a una vera rivoluzione verso lo sviluppo sostenibile. 

Per gli USA, pur nelle intenzioni positive, va verificata la capacità effettiva di questo balzo nella riduzione vincolante dei gas serra.

La Cina, infine, sembra aver compreso che è ora di uscire da un impatto  sfavorevole all’ambiente ed in particolare nei confronti dei cambiamenti climatici.

Entrambi i paesi comunque, a parte l’accordo, agiscono molto di più nella direzione della ricerca di tecnologie avanzate ed alternative e rimangono scettici nei confronti degli obiettivi e vincoli, tema che “piace di più” all’Europa.

C’è da dire che l’incremento delle emissioni di gas serra può portare a situazioni di pericolo per il clima e se le azioni di ricerca operativa di USA e Cina non andranno a buon fine, il rischio di superare la concentrazione di gas serra nell’atmosfera per la quale la temperatura del globo vada a superare la crescita di 2-3 °C risulterà molto elevato, con il pericolo di superare il “punto di non ritorno”, che secondo gli studiosi potrebbe cadere fra il 2030 e il 2050.  

Con questi presupposti politici prenderà il via il 1  dicembre a Lima la 20° Conferenza Delle Parti Della Convenzione Quadro Delle Nazioni Unite Sui Cambiamenti Climatici (la cosiddetta COP 20), nonché 10° Incontro delle Parti del Protocollo di Kyoto.

Si tratta dell’appuntamento negoziale più importante dell’anno, a cui la UE approda con idee chiare rispetto agli obiettivi da raggiungere. La posizione della UE è stata formalizzata attraverso l’adozione delle Conclusioni del Consiglio dei Ministri che si è svolto a ottobre in Lussemburgo.

La Conferenza di Lima peraltro giunge alla fine un anno molto inteso, per le questioni relative ai Cambiamenti Climatici, in cui si sono svolti alcuni appuntamenti ed eventi importanti:

  • Il summit Onu sul Clima in settembre
  • L’Accordo UE sul Pacchetto 2030 in ottobre
  • La pubblicazione del Rapporto di Sintesi dell’IPCC in novembre.
  • Il Consiglio Formale dei ministri dell’Ambiente Ue di Lussemburgo dell’ottobre scorso che ci ha affidato il mandato negoziale per Lima e approvato importanti documenti su cui tornerò più avanti

Espongo in sintesi le principali tematiche oggi in discussione.

ACCORDO GLOBALE PER IL POST-2020

Il negoziato per la definizione di un accordo internazionale per il periodo post-2020 procede molto lentamente a causa della contrapposizione creatasi tra Paesi industrializzati (esclusa l’UE) e Paesi emergenti.

l paesi industrializzati sono disposti ad impegnarsi nell’ambito di un trattato internazionale a condizione che anche i Paesi in via di sviluppo (in particolare quelli con economia emergente) assumano un ruolo attivo. 

Al momento infatti il Protocollo di Kyoto prevede impegni di riduzione per i soli Paesi industrializzati e non per gli emergenti.

Al contrario i Paesi con economia emergente ritengono che i Paesi industrializzati, avendo iniziato la loro fase di sviluppo industriale (con conseguenti emissioni di gas serra) in una fase anteriore debbano assumere un ruolo di leader nella lotta ai cambiamenti climatici.

Il gruppo dei paesi emergenti chiede che i paesi industrializzati sottoscrivano attraverso un trattato legalmente vincolante obiettivi di riduzioni ben più ambiziosi di quelli attualmente in vigore, e che stanzino le risorse finanziarie (nuove e addizionali rispetto agli impegni finanziari internazionali già assunti non in ambito clima) necessarie affinché i Paesi in via di sviluppo possano intraprendere un percorso di sviluppo pulito. In ogni caso gli emergenti ritengono di dover assumere impegni volontari e non legalmente vincolanti.

Mi rendo conto che questo tipo di valutazioni tecnico-giuridiche possano apparire distanti dalla gravità dei problemi che ci troviamo ad affrontare, con le conseguenze dei cambiamenti climatici che riguardano anche noi qui in Italia: dietro queste controversie tecniche ci sono però questioni chiave, che vanno risolte con tenacia se vogliamo giungere ad un accordo in grado di limitare la “febbre” del pianeta.

La Conferenza di Lima rappresenta un evento cruciale, per riuscire ad arrivare alla firma dell’accordo finale, in occasione della Conferenza di Parigi alla fine del prossimo anno.

In particolare, a Lima, si auspica di riuscire a trovare un equilibrio tra il conseguimento di risultati concreti, che ci tengono in pista con il programma di lavoro concordato a Varsavia nel dicembre 2013, e la gestione delle aspettative su ciò che può essere raggiunto, prima di Parigi.

Particolare attenzione dovrà essere rivolta a qualsiasi tentativo di mantenere, o rafforzare, il firewall, la contrapposizione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo. Occorre lavorare, al contrario, per attenuare i contrasti e avvicinare le posizioni.

Credo sia maturata ormai in tutti i paesi del mondo una consapevolezza: un’intesa sul clima potrà avere l’ambizione di essere efficace solo se viene assunta da tutti e impegna tutti. Altrimenti è destinata al fallimento.

Il protocollo di Kyoto ha avuto un enorme valore culturale e politico: è una pietra miliare nelle politiche internazionali sul clima ma si è scontrato, nell’applicazione delle misure di riduzione dei gas serra, con il limite dell’assenza di impegni di paesi come Usa, Cina e India senza i quali nessuna strategia per l’imitare l’apporto antropico al surriscaldamento del pianeta può essere produttiva di risultati adeguati. 

Quindi Lima dovrà essere, anche dal punto di vista della strategia politica internazionale una tappa di coesione, di aggregazione di impegni e condivisione di obiettivi.

Credo fortemente una cosa: l’ambiente è un tema che unisce. E sul rispetto dell’ambiente si possono trovare quelle convergenze, quell’unità di intenti, quell’armonia che in altri ambiti internazionali i Paesi non riescono a trovare.

Proprio ieri ho avuto il piacere di ricevere la Vice-Presidente iraniana Massoumeh Ebtekar: con lei, che è Capo del Dipartimento Ambiente dell’Iran, abbiamo avviato un’importante collaborazione, che già stiamo riempiendo di contenuti concreti, attraverso un Memorandum che vuole portare i due paesi ad aiutarsi reciprocamente nel campo della sostenibilità, della protezione ambientale, della riduzione dell’inquinamento, delle energie rinnovabili, dei green jobs.

E’ un esempio concreto per dire che di fronte ai grandi obiettivi ambientali ogni intesa non è solo utile, ma necessaria. Ciò che non possiamo permetterci di fare, su un terreno globale, è agire con azioni isolate che generano solo irrilevanza e sono l’anticamera della sconfitta.

In sintesi i risultati che ci proponiamo di raggiungere a Lima sono:

  • L’ ulteriore sviluppo degli elementi per l'accordo 2015 e definizione dei prossimi passi per trasformare questi elementi in un testo completo negoziale;
  • La definizione dei contributi degli impegni nazionali da includere nel prossimo accordo.

Concludendo questo giro d’orizzonte alla vigilia della Conferenza Onu di Lima, credo vada sottolineato come l’Italia, da presidente di turno dell’Unione Europea abbia, in questo momento un ruolo cruciale e lo stia svolgendo consapevole della posta in palio.

Siamo stati fra i paesi che più convintamente hanno sostenuto il nuovo accordo su clima-energia in ambito europeo.  

In questi mesi di guida delle istituzioni continentali abbiamo raggiunto risultati molto rilevanti nel campo della tutela ambientale. Penso ad esempio all’accordo raggiunto tra Parlamento e Consiglio sulla forte limitazione nell’uso delle buste di plastica, che rappresenta un grande passo in avanti verso la diffusione delle buone pratiche ambientali e verso una gestione dei rifiuti più moderna e virtuosa a livello europeo.

E penso anche a un altro risultato su cui non c’è stata la dovuta attenzione da parte degli organi di informazione: l’intesa, raggiunta a Lussemburgo il 28 ottobre scorso, tra tutti i ministri dell’Ambiente dell’Ue sulla proposta alla Commissione Europea di inserire all’interno della Strategia 2020 uno specifico target sull’uso efficiente delle risorse naturali.

Nella stessa riunione tutti i rappresentanti degli Stati hanno messo “nero su bianco” la proposta di un profondo cambio di governance europea, per una nuova centralità del fattore ambientale nelle scelte economiche.

L’Europa arriva dunque agli appuntamenti negoziali forte, coesa e a testa alta, anche grazie al lavoro fatto in questi mesi. Si dà sempre molto spazio nelle cronache alle divisioni europee, ma l’ambiente – come ho detto prima – riesce a unire e far parlare l’Ue con una voce sola.

Da capofila europei, saremo a Lima fra quelli che con maggiore impegno sosterranno l’esigenza di porre le basi per raggiungere a Parigi nel 2015 lo storico risultato di un accordo globale sul clima.

Da ciò che verrà deciso nei prossimi appuntamenti discenderà inevitabilmente anche il modello di sviluppo mondiale dei prossimi decenni: un modello che dovrà essere sostenibile tanto dal punto di vista ambientale che sociale ed economico.

Un modello completamente nuovo rispetto a quello pre-crisi: che punti sul rispetto dell’ambiente come leva irrinunciabile per far ripartire la crescita e creare nuovi posti di lavoro, che vada verso un’economia verde e circolare, rigenerando e non sprecando risorse che si stanno pericolosamente esaurendo.

L’Italia ha sostenuto e sosterrà con la massima determinazione queste scelte nelle sedi internazionali.

Non solo: le sta declinando con politiche coerenti di governo, con provvedimenti che pongono l’ambiente nel ruolo di volàno dello sviluppo, e non in sua contrapposizione.

Sono però soprattutto scelte di etica politica più alta perché riguardano un bene indisponibile: il mondo che lasceremo in eredità alle prossime generazioni.


Ultimo aggiornamento 03.12.2014