La Teoria del Cambiamento del Global Biodiversity Framework
Il GBF per il post-2020 definisce un piano ambizioso per realizzare una trasformazione del rapporto tra la società e la biodiversità e per garantire che entro il 2050 si realizzi la visione condivisa di «Vivere in armonia con la natura».
Il framework mira a stimolare un'azione urgente e trasformativa da parte dei governi e di tutta la società, comprese le popolazioni indigene e le comunità locali, la società civile e le imprese, per raggiungere i risultati e contribuire agli obiettivi della CBD e degli altri accordi, processi e strumenti multilaterali relativi alla biodiversità.
La teoria del cambiamento è complementare e di supporto all'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Essa prende in considerazione anche le strategie e gli obiettivi a lungo termine di altri accordi ambientali multilaterali, comprese le convenzioni relative alla biodiversità, ai cambiamenti climatici, alla desertificazione e ai Principi Forestali, per garantire l'erogazione sinergica dei benefici di tutte le convenzioni e i relativi accordi per il pianeta e le persone.
È evidente, infatti, che gli interventi indirizzati al perseguimento di uno o più obiettivi rischiano non solo di avere effetti negativi su altri, ma anche di perdere le opportunità di stabilire sinergie e gestire compromessi. In questo senso gli esempi non mancano: mitigare il cambiamento climatico tramite la geoingegneria potrebbe minacciare altri obiettivi di sostenibilità attraverso una distribuzione ineguale dei costi e la generazione di conflitti tra Paesi; sviluppare la bioenergia tramite vasti programmi di colture erbacee o legnose dedicate potrebbe averte effetti significativi sulla biodiversità e sottrarre territorio alla produzione alimenti e fibre. Allo stesso modo, la produzione alimentare intensiva pone rischi per la biodiversità, alimenta il deflusso dei nutrienti verso i mari, innescando la formazione di zone ipossiche marine e conseguenti perdite per la pesca, e richiede enormi quantità di risorse idriche da alterare i cicli idrologici in generale e gli ecosistemi acquatici terrestri in particolare.
Verso un «cambiamento trasformativo»
La consapevolezza della necessità di un cambiamento trasformativo ha dato ai negoziati del GBF per il post 2020 un senso di urgenza e di intenzioni e ha posto una sfida per capire come tale cambiamento trasformativo potrà essere realizzato, come dovrà essere incorporato nel GBF per il post 2020 e, di conseguenza, come potrà essere utilizzato a livello di governance globale per determinare una massa critica di attività e attori in grado di trasformare i comportamenti e le visioni del mondo.
In questo senso una quantità crescente di letteratura, in particolare dalle scienze sociali e umane, è resa disponibile sulle sfide e sulle opportunità per trasformare in azioni concrete il cambiamento trasformativo, non solo in termini astratti e teorici, ma anche attraverso esempi pratici.
Alcuni osservatori e analisti ritengono che il cambiamento trasformativo possa essere realizzato semplicemente aumentando il numero delle iniziative di sostenibilità già attuate. Su questa posizione sembra orientarsi il negoziato sul GBF per il post-2020. Sebbene siano stati compiuti importanti passi in avanti, la versione aggiornata della bozza zero del GBF continua ritenere il cambiamento trasformativo come qualcosa che dipende dagli obiettivi ambiziosi che saranno approvati e dalla conseguente, corretta, attuazione a scala nazionale. Altri, viceversa, incluso gli autori del rapporto di valutazione dell’IPBES (2019), hanno rappresentato una posizione molto distante, ritenendo che per affrontare la perdita dell’integrità biologica del pianeta, nella sua complessità socio-ecologica, l’attenzione non deve limitarsi — come è stato fatto negli ultimi due decenni — ai fattori diretti (direct drivers) del cambiamento (come il cambiamento dell'uso della territorio e del mare e la degradazione degli habitat, lo sfruttamento diretto, il cambiamento climatico, l'inquinamento, le specie invasive, ecc.) e al loro controllo attraverso la definizione di goal e target. Viceversa, l’attenzione deve essere rivolta anche ai fattori indiretti. Questi fattori comprendono il patrimonio culturale immateriale, le istituzioni formali e informali, come norme, valori, regole e sistemi di governance, fattori demografici e socioculturali e fattori economici e tecnologici, che strutturano le attività economiche e generano i fattori diretti citati prima. È evidente che per arrestare e invertire il declino della biodiversità è necessario affrontare i fattori diretti, tuttavia essi resistono all'intervento perché sono alla base delle nostre attuali economie e istituzioni di governance. Pertanto, gli interventi suscitano spesso una notevole opposizione da parte di interessi acquisiti che beneficiano dello status quo, compresa l’esternalizzazione dei costi. In questo senso due concetti sono rilevanti per affrontare prioritariamente i driver indiretti: i punti di leva (dove intervenire per cambiare i sistemi socio-ecologici) e le leve (i mezzi per realizzare questi cambiamenti, intesi come approcci e interventi di governance). Entrambi i concetti hanno lo scopo di identificare quali cambiamenti, per quali variabili sociali, possono avere effetti positivi sui sistemi socio-ecologici.
Di fronte a tale scenario, quali sono i venti del cambiamento che possono portare l’energia necessaria per raggiungere i tre obiettivi della CBD, ossia la conservazione e l'uso sostenibile della biodiversità, l'accesso giusto ed equo dei benefici che essa offre? Come può il GBF diventare un’occasione e uno strumento per un cambiamento strategico globale che coinvolge tutta la società? Come può essere migliorata l’attuale struttura del GBF e i suoi quattro cluster tematici per raggiungere i tre obiettivi della CBD? Inoltre, qual è il ruolo della comunicazione per sensibilizzare i cittadini di ogni parte del mondo e far crescere la consapevolezza tra i decisori politici e le imprese del ruolo della biodiversità per il benessere umano e un pianeta sano? É utile cambiare il linguaggio (a cominciare dal termine biodiversità e servizi ecosistemici, oscuri e ambigui ai più) e la narrativa e sviluppare strategie di comunicazione più efficaci per trasmettere messaggi chiari e semplici, nuovi format e media per raggiungere tutta la società?
Il GBF può rappresentare lo strumento di riferimento fondamentale per rimettere il mondo sulla buona strada per proteggere e ripristinare la biodiversità entro il 2030 in quanto può diventare la bussola per tutti i livelli di governo e tutti gli attori di tutta la società, guidando l'azione necessaria per il cambiamento trasformativo e fornendo un segnale per sapere se stiamo continuando sulla strada giusta.
Per poter realmente svolgere questo ruolo, il cambiamento trasformativo deve pervadere il GBF, in ogni suo elemento. Viceversa, è probabile che l'ambizione dichiarata delle Parti alla Convenzione di consentire un cambiamento trasformativo diffuso non sarà realizzata e gli obiettivi per la conservazione e l'utilizzo sostenibile della biodiversità non saranno raggiunti.
È evidente che questa trasformazione richiede una nuova visione del mondo che trascenda le divisioni politiche, economiche e culturali ed è catalizzata da un'ampia gamma di fattori abilitanti, inclusi i mezzi finanziari, le nuove tecnologie, le acquisizioni scientifiche e i saperi e le conoscenze delle popolazioni locali e dei popoli indigeni. La vasta gamma di fattori abilitanti necessaria per perseguire questo cambiamento richiede anche una gamma altrettanto ampia di attori e regole per consentire e incoraggiare la condivisione di esperienze, il trasferimento di tecnologia e i fondi per l'attuazione.
Questo cambiamento deve passare attraverso uno spostamento della nostra visione del mondo per vedere gli esseri umani non come una specie a sé stante ed egemone, ma parte del tessuto vivente di un pianeta sano. Come rifletteva Georgina Mace (2014) nel suo celebre articolo intitolato “Ecology. Whose conservation?”, occorre spostare l'attenzione da una prospettiva potenzialmente troppo utilitaristica del framing teoretico che ha influito sulle strategie di conservazione nel decennio precedente, “Nature for People” (gestire la natura per massimizzare il valore complessivo della condizione umana) a una prospettiva più sfumata che riconosca le relazioni biunivoche e dinamiche tra persone e natura. Questo pensiero, che Mace aveva chiamato “People and Nature”, sottolinea l'importanza delle strutture e delle istituzioni scientifiche e culturali per lo sviluppo di interazioni sostenibili e resilienti tra le società umane e l'ambiente naturale. Il framing “People and Nature” - che investe sia la scala locale sia quella globale e affonda le sue origini intellettuali nell'economia delle risorse, nelle scienze sociali e nell'ecologia teorica - rifiuta la relazione lineare caratteristica del framing “Nature for People”, secondo una relazione molto più stratificata e multidimensionale tra umano e non umano.
Questo è effettivamente il fondamento del cambiamento trasformativo globale che coinvolge tutta la società (whole-of-society approach): allontanarsi dagli attuali modelli di produzione e consumo, riconoscere punti di vista diversi, comprese le conoscenze indigene e locali, della prima (delle scienze sociali e umane) e della seconda cultura (delle scienze naturali) e quelle delle comunità patrimoniali (in accordo con la Convenzione di Faro del 2005), e consentire il dialogo e partenariati con e tra la società civile e le organizzazioni non governative, il settore finanziario, industriale, commerciale, turistico, culturale, in un processo partecipativo e inclusivo, che faccia crescere la responsabilità politica e l’urgenza di agire per giungere - usando un’espressione della Convenzione per la Diversità Biologica - a ”Vivere in Armonia con la Natura”.